Per tutti gli Europei, il 1 agosto è il giorno in cui cominciano le vacanze. Per Varsavia è il giorno della “W hour“, il momento in cui la Polonia si congela e poi prende fuoco. Tutto per ricordare una disperata ribellione di quasi un secolo fa, l'”Insurrezione di Varsavia” cominciata il 1 agosto 1944.
Mi sono trovato nel mezzo dell’evento per puro caso: arrivato in Stazione dopo una placida vacanza nella piccola e colorata Wroclaw, Varsavia mi accoglie con un’atmosfera surriscaldata. C’è un esercito di persone impazzito che rimbalza da strada a strada; grattacieli altissimi interamente decorati con le bandiere polacche; agli angoli delle strade ragazzi con megafoni e fasce al braccio; bancarelle disseminate lungo le strade che vendono gadget, bandiere, spille e ogni sorta di oggetto patriottico. Sembra un’atmosfera da chiamata alle armi. E ci siamo andati vicini.
L’evento sembra promettente: decido di seguire la folla. E mi trovo in una piazza enorme, a pochi metri dalla stazione, con le valigie, la reflex in mano e più o meno centomila persone riversate lungo le strade di Varsavia.
Un ragazzo, notando la mia parlata da wlochy (gli italiani in Polonia sono chiamati così), mi avvisa in inglese: “alle 5 suoneranno le sirene. E’ un momento importante, lo ricordiamo in tutta la Polonia“. Spiegazione laconica, ma che aumenta la curiosità.
Sono appena arrivato in città, ho alle spalle otto ore di treno, ritardi e guasti sulla linea. La stanchezza bussa alla porta, ma mi lascio trasportare dall’entusiasmo di un’intera popolazione in fibrillazione per celebrare un’insurrezione.
Ed eccole lì, le sirene lanciano tutte in coro un suono terribile e stridulo.
Sale un brivido nero lungo la spina dorsale, pensando ai tempi in cui il “canto della sirena” annunciava l’arrivo di nuove bombe, pronte a tritare le ultime macerie della città con la stessa cattiveria con cui una persona schiaccia e smembra un insetto già morto.
Ma c’è una cosa che non mi torna: da dove escono gli allarmi?
Varsavia era poco più di un cumulo di polvere dopo la II Guerra Mondiale e tutti i palazzi attorno alla Stazione Centrale sono stati costruiti da pochissimi anni.
Significa che i sistemi di allarme antiaereo sono ancora presenti in tutta la città. E sono nascosti chissà dove, fra i vetri splendenti dei grattacieli.
Tutti pronti a segnalare un attacco anche nel 2019.
Il brivido lungo la schiena si fa più intenso.
Mi guardo attorno: c’è un ragazzo di circa vent’anni che non trattiene le lacrime mentre suonano gli allarmi. Ha i capelli lunghi, le braccia piene di tatuaggi ed ha addosso ancora la divisa di lavoro di un Piekarnia (una panetteria) della zona: probabilmente nel 1944 non erano nati nemmeno i suoi genitori, ma le sue lacrime sembrano quelle di un anziano che rivive i ricordi terribili della sua infanzia.
Poco più in là c’è un padre che abbraccia il figlio, mentre il bambino gioca con la bandiera della resistenza fra le mani. Ed ancora, alle mie spalle due sconosciuti si danno istintivamente la mano: uno è vestito da militare, l’altro è un signore grasso, con una maglietta tanto corta da fargli spuntare la pancia. In quel minuto Varsavia è diventata un’unica persona.
Il silenzio è rotto solo da un urlo in quell’incomprensibile lingua parlata dai polacchi. Si accende un fumogeno rosso in lontananza, poi un altro, poi un altro ancora. Attorno a me c’è un cerchio di fuoco.
Poi scopro che quasi tutti hanno fra le mani un fumogeno rosso o bianco. E lo accendono in una nube di fumo biancorossa degna di un rogo tossico.
Nel frattempo, fra le polveri e il fumo, tutti cantano a squarciagola canzoni della resistenza, le cosiddette “canzoni proibite” che animavano gli insorti di Varsavia durante il loro disperato tentativo di liberare quel che restava della città dall’occupazione tedesca.
Un’operazione che, come racconta la storia, finì con più di 15.000 morti e con una umiliante resa dopo due mesi di battaglie. L’ennesimo bagno di sangue che anticipò l’arrivo dei russi in città, che non furono più clementi dei tedeschi con il popolo polacco.
Ma nel 2019 la manifestazione per ricordare lo spirito della Polonia che portò a combattere anche contro una sconfitta certa contro due nemici giganti: la dimostrazione suprema di coraggio e amore per la propria libertà. Il desiderio di non cedere, di nuovo, ai prepotenti della Storia.
Finito l’evento e spenti i fumogeni, tutti tornano amabili sconosciuti occupati con le proprie vite quotidiane. Agosto comincia e anche Varsavia può finalmente pensare alla vacanza.
Per terra non c’è una cartaccia, una bottiglietta o, come sarebbe stato prevedibile, un residuo di quelle centinaia di fumogeni utilizzati durante la commemorazione. Nessuno ha osato sporcare una città che posa le sue fondamenta in un terreno fatto di macerie, ossa e sangue.
1 commento
Federico Quagliuolo » Fotografia, scrittura e VespaIl cortile dell'arte nella periferia di Breslavia - Federico Quagliuolo · 18 Agosto 2019 alle 13:45
[…] polacca, compaiono le armi: ecco il bambino armato di Varsavia e vicino il racconto dell’Insurrezione del 1944. Mentre cerco di avvicinarmi alla porta d’ingresso del condominio, un signore in canottiera […]
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